In… Formazione: Angelus Santissima Trinità 2022

Oggi è la solennità della Santissima Trinità, e nel Vangelo della celebrazione Gesù ci presenta le altre due Persone divine, il Padre e lo Spirito Santo. Dello Spirito dice: «Non parlerà da sé stesso, ma prenderà quel che è mio e ve lo annuncerà». E poi, a proposito del Padre, dice: «Tutto quello che il Padre possiede è mio» (Gv 16,14-15). Notiamo che lo Spirito Santo parla, ma non di sé stesso: annuncia Gesù e rivela il Padre. E notiamo anche che il Padre, il quale tutto possiede, perché è l’origine di ogni cosa, dà al Figlio tutto quello che possiede: non trattiene nulla per sé e si dona interamente al Figlio. Ossia, lo Spirito Santo parla non di sé stesso, parla di Gesù, parla di altri. E il Padre, non dà sé stesso, dà il Figlio. È la generosità aperta, uno aperto all’altro.

E ora guardiamo a noi, a ciò di cui parliamo e a quello che possediamo. Quando parliamo, sempre vogliamo che si dica bene di noi e spesso parliamo solo di noi stessi e di quello che facciamo. Quante volte! “Io ho fatto questo, quell’altro…”, “Avevo questo problema…”. Sempre si parla così. Quanta differenza rispetto allo Spirito Santo, che parla annunciando gli altri, e il Padre il Figlio! E, circa quello che possediamo, quanto ne siamo gelosi e quanta fatica facciamo a condividerlo con gli altri, anche con chi manca del necessario! A parole è facile, ma poi in pratica è molto difficile.

Ecco allora che festeggiare la Santissima Trinità non è tanto un esercizio teologico, ma una rivoluzione del nostro modo di vivere. Dio, nel quale ogni Persona vive per l’altra in continua relazione, in continuo rapporto, non per sé stessa, ci provoca a vivere con gli altri e per gli altri. Aperti. Oggi possiamo chiederci se la nostra vita riflette il Dio in cui crediamo: io, che professo la fede in Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, credo davvero che per vivere ho bisogno degli altri, ho bisogno di donarmi agli altri, ho bisogno di servire gli altri? Lo affermo a parole o lo affermo con la vita?

Il Dio trino e unico, cari fratelli e sorelle, va mostrato così, con i fatti prima che con le parole. Dio, che è autore della vita, si trasmette meno attraverso i libri e più attraverso la testimonianza di vita. Egli che, come scrive l’evangelista Giovanni, «è amore» (1 Gv 4,16), si rivela attraverso l’amore. Pensiamo alle persone buone, generose, miti che abbiamo incontrato: ricordando il loro modo di pensare e di agire, possiamo avere un piccolo riflesso di Dio-Amore. E che cosa vuol dire amare? Non solo volere bene e fare del bene, ma prima ancora, alla radice, accogliere, essere aperto agli altri, fare posto agli altri, dare spazio agli altri. Questo significa amare, alla radice.

Per capirlo meglio, pensiamo ai nomi delle Persone divine, che pronunciamo ogni volta che facciamo il segno della croce: in ciascun nome c’è la presenza dell’altro. Il Padre, ad esempio, non sarebbe tale senza il Figlio; così pure il Figlio non può essere pensato da solo, ma sempre come Figlio del Padre. E lo Spirito Santo, a sua volta, è Spirito del Padre e del Figlio. In breve, la Trinità ci insegna che non si può mai stare senza l’altro. Non siamo isole, siamo al mondo per vivere a immagine di Dio: aperti, bisognosi degli altri e bisognosi di aiutare gli altri. E allora, poniamoci quest’ultima domanda: nella vita di tutti i giorni sono anch’io un riflesso della Trinità? Il segno di croce che faccio ogni giorno – Padre e Figlio e Spirito Santo –, quel segno di croce che facciamo tutti i giorni, rimane un gesto fine a sé stesso o ispira il mio modo di parlare, di incontrare, di rispondere, di giudicare, di perdonare?

 Papa Francesco