Santa Lucia, tante torture ma non fu accecata

storia di una grande santa, la nostra patrona

Lucia, nasce a Siracusa verso la fine del III secolo d.C. e muore il 13 dicembre del 304 d.C., il suo nome dal latino significa luminosa, splendente, il suo emblema: gli occhi sul piatto, i buoi, la lampada, la candela, è patrona dei ciechi, degli oculisti, degli elettricisti.

Protettrice della vista, sia per il suo nome, Lucia dal latino Lux, sia per una frase attribuitale dagli agiografi: “ai non credenti toglierò l’accecamento”. O forse perché la sua festa cade il 13 dicembre: il detto popolare “santa Lucia è il giorno più corto che ci sia” (veramente nel nostro calendario gregoriano l’inizio dell’anno solare coincide con il 21 dicembre) suona come un saluto di sollievo per il ritorno della luce nelle giornate che man mano si allungano.

Ed è legato alla protezione della vista il dolce siciliano detto cuccìa che si consuma per devozione il13 dicembre: è composto di chicchi di grano, in ricordo di una grande carestia che si abbatté sulla Sicilia; dopo le suppliche alla santa, arrivarono nel porto di Siracusa navi piene di grano e la popolazione affamata lo mangiò crudo e intero. Al grano di solito si aggiunge una manciata di ceci come simbolo degli “occhietti” della santa che protegge la vista.

L’aspetto festoso della portatrice di doni è presente in una tradizione diffusa nel Nord, specialmente in Veneto. Più che babbo Natale o la Befana è Santa Lucia che porta regali ai bambini. Il 13 dicembre scende nelle case attraverso il camino e i bambini cominciano giorni prima a cantare la canzoncina per propiziarne l’arrivo. La vigilia della festa, si svolge a Verona una grande fiera dei giocattoli.

Il culto della martire siracusana ha la sua usanza più pittoresca in Svezia. La “Luce di Svezia”, scelta ogni anno con un concorso di bellezza, è vestita di una tunica bianca, porta sulla testa una corona con sette candele accese, è accompagnata da compagne vestite di bianco e raccoglie i doni da distribuire a Natale ai poveri, ai malati alle persone sole. Questa tradizione nazionale è diventata un “gemellaggio” con la Sicilia: ogni anno la Lucia svedese si reca a Siracusa e con le sue candele accese partecipa alla processione in onore della santa.

Lucia fu una delle vittime della persecuzione di Diocleziano e Massimiano contro i cristiani, una furia che durò dal 303 al 311 d.C. Secondo la tradizione apparteneva ad una nobile famiglia siracusana, era già promessa sposa ad un giovane del suo rango, quando avvenne l’episodio che le cambiò la vita.

Essendosi ammalata la madre Eutichia, Lucia decide di accompagnarla in pellegrinaggio a Catania per chiedere la sua guarigione a Sant’Agata, patrona della città. Le due donne ascoltano in chiesa il brano evangelico sull’emorroissa risanata dopo aver toccato un lembo della veste di Gesù, toccano il sepolcro di Sant’Agata e subito Lucia ha la visione della santa catanese che le annuncia la guarigione della madre assieme al futuro martirio.

Di ritorno a Siracusa, la giovane decide di consacrarsi totalmente a Dio, rinuncia al matrimonio e mette in vendita la sua dote per donarne il ricavato ai poveri. Il fidanzato, sconvolto dall’abbandono la denuncia come cristiana al governatore Pascasio, che la fa arrestare e le impone di sacrificare agli dei in cambio della libertà.

Al fermo rifiuto di Lucia, Pascasio la condanna al Lupanare (gli attuali bordelli o case di appuntamento), estrema offesa per una vergine, e così la minaccia: “Appena conoscerai il disonore, cesserai di essere il tempio dello Spirito Santo”. Ma quando i soldati tentarono di condurla in quel luogo di vergogna, lo Spirito Santo la rese così immobile che nessuno riusciva a spostarla, né i maghi, subito convocati, e neppure una coppi di buoi ai quali venne agganciata. Allora il governatore ordina un gran fuoco di fascine, resina e pece per incenerirla, ma Lucia lo sfida: “Pregherò il Signore nostro affinché questo fuoco non mi bruci e così mostrerò ai credenti la virtù del martirio e ai non credenti toglierò l’accecamento della loro superbia”.

Uscita indenne dalle fiamme, si decise di decapitarla. Ma secondo un’altra tradizione non le fu tagliata la testa bensì fu pugnalata alla gola, e infatti la statua della santa, che viene portata in processione a Siracusa, ha un pugnale piantato nel collo. Era il 13 dicembre del 304 d.C., Lucia aveva probabilmente 25 anni.

L’uso di raffigurare santa Lucia con un piatto o una tazza contenente i suoi occhi nasce da un equivoco: essendo protettrice della vista, la fantasia popolare ha dato per scontato che i carnefici avessero strappato gli occhi alla giovane martire.

Le sue spoglie mortali si trovano a Venezia nella chiesa dei santi Geremia e Lucia in un’urna di cristallo sopra l’altare. Le ricopre una veste di velluto rosso con ricami d’oro, il volto è celato da una maschera d’argento che fu fatta preparare nel 1955 dal cardinale Angelo Roncalli, patriarca di Venezia e futuro papa Giovanni XXIII.

Perché il corpo della martire sia stato trasportato così lontano dalla sua città, è storia legata alla conquista mussulmana della Sicilia, quando molte reliquie vennero nascoste in luoghi sicuri. Da allora, attraverso missioni diplomatiche, Siracusa ottenne dai veneziani alcune reliquie della santa. La più recente è stata consegnata il 13 dicembre 1988 alla chiesa Siracusana dal cardinale Marco Cè Patriarca di Venezia. Inutile dire che la speranza dei siracusani è che l’intero corpo della santa venga prima o poi restituito alla loro città.


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