In… Formazione: La Voce del Parroco
Custodire la vita
La morte nelle società occidentali
Facciamo quotidianamente la dolorosa esperienza di vivere immersi in una cultura dove la morte la fa da padrone, una cultura di morte che giustifica ogni forma di oppressione dei deboli, l’emarginazione degli ultimi, l’aborto, l’eutanasia. Nello stesso tempo, paradossalmente, la nuova cultura occidentale, secolarizzata, materialista e edonista, tende a rimuovere il pensiero della morte, trasformando la morte in un vero e proprio tabù, al punto che è quasi proibito parlarne.
La rimozione dell’idea della morte fa sì che i familiari, gli amici, e persino i sanitari si dimostrino sempre più incapaci di accompagnare il morente a vivere pienamente e degnamente questa ultima fase della vita. In passato si moriva a casa, circondati dalle persone care, sostenuti dai simboli e dai conforti della propria fede (i sacramenti), mentre oggi si muore in ospedale, assistiti ma isolati e, spesso complice anche questa pandemia, abbandonati.
In uno studio classico la dottoressa E. Kübler-Ross, seguendo da vicino decine di malati, soprattutto oncologici, ha evidenziato come in genere il malato si avvicini alla morte attraverso un morire più o meno lungo, scandito in cinque fasi. Le fasi ovviamente non sono sempre tutte presenti, e talvolta il malato può saltare da una fase all’altra, tornando a vivere una fase precedente. Credo che conoscere l’esistenza e l’alternarsi di questi atteggiamenti o stati d’animo possa essere utile per comprendere meglio la persona morente dal punto di vista morale e ancor più pastorale.
1.Rifiuto: Si nega di dover morire, rifiutando l’idea stessa della propria morte: si pensa ad un errore diagnostico, si sottolinea l’assenza di sintomi, si richiamano esperienze altrui;
2.Rivolta: la speranza si sgretola e il malato si ribella contro tutto e contro tutti, contro i famigliari, contro i medici e contro Dio;
3.Patteggiamento: situazione di equilibrio fra ragione ed emotività in cui il malato cerca di guadagnare tempo, si illude che seguendo scrupolosamente le indicazioni mediche o facendo il buono con Dio possa cavarsela; pensa a cure nuove, ad un centro di cure migliore, ad un medico più capace, ma con più lucidità e realismo, e intanto «sistema le sue cose» (la famiglia, il lavoro, la coscienza);
4.Depressione: il malato si chiude in se stesso, sprofondato nel suo Io e avvolto da rimpianti e da cupi presagi; questa fase può accompagnarsi a forti ed espliciti desideri suicidi, ma è anche l’inizio di un confronto reale con la prospettiva della propria morte che si fa strada nella coscienza del soggetto come evento possibile e prossimo.
5.Accettazione: più spesso è semplice rassegnazione, prostrazione per la lotta e l’impotenza, talvolta è accoglienza e questo in coloro che riescono a dare un significato alla propria morte.
Nella tragica situazione di scacco costituita dalla morte, la fede cristiana si propone come sorgente di serenità e di pace, e ciò che è umanamente senza significato e assurdo può acquistare senso e valore.
Don Massimo, vostro Parroco