In… Formazione: La Voce del Parroco
Custodire la vita – L’adeguatezza etica delle cure
Accanimento terapeutico e abbandono terapeutico sono due facce di uno stesso atteggiamento della medicina, e della società in generale, nei confronti del malato inguaribile o terminale. Il rifiuto dell’idea della morte, la spersonalizzazione dell’assistenza sanitaria, la fiducia illimitata nel mezzo tecnico possono portare a un dispiego eccessivo, ostinato e inutile di presidi terapeutici, finché l’approssimarsi della morte, la ridotta qualità di vita residua o la crescita dei costi non spingono ad abbandonare il malato al suo destino, configurando talora – come vedremo in seguito – una vera e propria eutanasia passiva.
Il principio di adeguatezza terapeutica permette di distinguere con sufficiente certezza, il limite fra una doverosa insistenza terapeutica e una dannosa e inutile ostinazione. Nella prospettiva personalista propria della bioetica cattolica, il criterio fondamentale deve essere posto sui benefici che un paziente, in una ben precisa situazione clinica, può trarre o no da una data terapia.
La morale cattolica ha elaborato in questo campo distinzioni molto precise, raffinate e illuminanti i diversi aspetti della questione e permettono di affrontare casi anche complicati. Una prima distinzione è quella fra mezzi ordinari e straordinari, alla quale si è aggiunta quella, non del tutto sovrapponibile, fra mezzi proporzionati e sproporzionati.
Per comprendere il concetto di mezzo ordinario di cura, dobbiamo ricordare che, alla fine del XVI secolo, erano stati sviluppati nuovi metodi chirurgici per la cura delle terribili ferite prodotte in battaglia dalle armi da fuoco, da poco introdotte: si trattava di tecniche di amputazione audaci, ma molto dolorose e rischiose perché praticate senza anestesia e senza antisettici. Alla domanda se il ricorso a queste tecniche chirurgiche innovative fosse obbligatorio, i moralisti del tempo, risposero che sono da ritenersi obbligatori solo i mezzi ordinari, mentre un mezzo troppo doloroso o rischioso o ricercato o costoso deve essere ritenuto straordinario e, quindi non obbligatorio.
Curarsi è infatti ragionevole, ma va fatto in modo ragionevole. Ovviamente, per dare una valutazione di ordinarietà o straordinarietà si deve tener conto della situazione concreta delle persone: un mezzo che può essere ordinario in un luogo, e per una certa persona, può risultare straordinario per un’altra, perché per esempio, un mezzo è disponibile in un luogo ma non è disponibile in un altro, o una persona percepisce un mezzo come troppo gravoso mentre un’altra lo sopporta più agevolmente. Limpido è l’insegnamento di papa Pio XII:
«[Il dovere di curarsi] non obbliga, generalmente, che all’uso dei mezzi ordinari (secondo le circostanze di persone, di luoghi, di epoche, di culture), cioè di quei mezzi che non impongono nessun onere straordinario per sé stesso o per altri […]. D’altra parte, non è proibito fare più dello stretto necessario per conservare la vita e la salute, a patto di non mancare a doveri più gravi.»
(Pio XII Problemi religiosi e morali della rianimazione, 24.11.1957)
Si intreccia, con questa prima distinzione sulla qualità dei mezzi terapeutici, un’altra distinzione, quella fra mezzi proporzionati e mezzi sproporzionati. La nozione di proporzione riguarda prima di tutto un giudizio medico oggettivo sul rapporto fra il mezzo impiegato e i risultati in termini di salute, di qualità e di quantità di vita, tenendo conto dei costi economici e umani previsti.
Insegna Evangelium vitae che «si dà certamente l’obbligo morale di curare e farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione sono oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento» (Giovanni Paolo II, lettera enciclica Evangelim vitae, 25. 3.1995, n. 65).
Un mezzo molto impegnativo che ottiene, nel caso specifico, minimi miglioramenti o che addirittura si rivela inefficace, è un mezzo oggettivamente sproporzionato. In linea di principio un mezzo proporzionato è da ritenersi ordinario, cioè di impiego ragionevole e, quindi, obbligatorio a meno che non intervengano situazioni particolari che lo rendano di impiego difficoltoso o rischioso o addirittura impraticabile per quel paziente.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna, a questo proposito, che «può essere legittima la sospensione di mezzi terapeutici gravosi, rischiosi, straordinari o tali che non sono proporzionati con gli effetti ottenuti». (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2278)
Don Massimo, vostro Parroco