In… Formazione: La Voce del Parroco

Custodire la vita – Lo Stato Vegetativo

Pone molte e intricate questioni mediche, etiche e giuridiche il quadro clinico – complesso e tutt’altro che definito – noto comunemente con il nome di stato vegetativo. L’attenzione dell’opinione pubblica e dei legislatori per questa situazione è stata sollecitata da alcuni casi clamorosi, come quelli di Nancy Cruzan e Terry Schiavo negli Stati Uniti e quello di Eluana Englaro in Italia.

Accade che alcuni soggetti, entrati in coma a seguito di gravi traumi cranici, o di incidenti della circolazione celebrale o di arresto cardiaco, non muoiono e neppure si riprendono, ma entrano in una condizione clinica particolare caratterizzata, da una parte, da assenza di segni di coscienza di sé, da non responsività consapevole agli stimoli ambientali, da mancanza di linguaggio, di movimenti finalizzati e di controllo volontario degli sfinteri e d’altra parte, da alternanza del ciclo veglia- sonno, da mantenimento delle funzioni vitali essenziali (come il battito cardiaco, il respiro spontaneo, la termoregolazione) e da presenza dei riflessi più importanti ( inclusa la deglutizione, quantunque non sempre e non perfettamente conservata).

La spiegazione neurologica di questa condizione è che è lesa, direttamente o indirettamente, la funzionalità della corteccia celebrale (La corteccia cerebrale è uno strato laminare continuo che costituisce la parte più esterna del cervello, gioca un ruolo centrale in meccanismi o funzioni mentali, cognitive complesse come pensiero, consapevolezza, memoria, attenzione, linguaggio), mentre sono conservate le attività tronco – encefaliche, ipofisarie e, del tutto o in parte, quelle ipotalamiche. In pratica manca la vita cosciente e di relazione, mentre è mantenuta la vita vegetativa, donde, appunto, il nome di stato vegetativo.

 In alcuni soggetti non c’è una totale assenza di consapevolezza di sé e dell’ambiente, ma restano barlumi di coscienza e di responsività, per cui si parla di sto di minima coscienza.

Sofisticati studi di indagine neurologica per immagini hanno evidenziato, più di recente, forme di reattività celebrale elaborata in risposta a determinati stimoli anche in soggetti classificati come in stato vegetativo e che, quindi per definizione non dovrebbero essere responsivi ad alcun stimolo esterno.

Questa condizione può essere transitoria e il paziente può, dopo un tempo più o meno lungo, riprendersi o – come si sente dire – «risvegliarsi»; in altri casi, la situazione si cronicizza e risulta permanente. La situazione transitoria veniva denominata un tempo stato vegetativo persistente, mentre la condizione di irreversibilità veniva denominata stato vegetativo permanente.

Il discrimine fra le due condizioni è temporale, e la diagnosi di transitorietà o irreversibilità è basata sull’osservazione che dopo un anno dal trauma o dopo sei mesi dalle altre cause la ripresa è da ritenersi impossibile o, almeno, molto difficile.

La condizione di permanenza o irreversibilità dipende soltanto da un indice di probabilità prognostica: in genere, dopo quel tempo le speranze di ripresa si affievoliscono fino quasi ad azzerarsi. 

Le cure praticate negli stai vegetativi sono di quattro livelli e devono essere valutate attentamente per verificarne l’adeguatezza alle diverse fasi del percorso clinico. La prossima settimana vedremo di cosa si tratta.

Don Massimo, vostro Parroco